Controlli di tono: si o no?

Si sa, l’audiofilo ha le sue idee e difficilmente è disposto a rivederle. Anni, probabilmente decenni di lettura di riviste specializzate ed esperienze personali coi propri impianti, hanno radicato in lui convinzioni e certezze che spesso diventano dogmi, regole assolute che devono valere per tutta la comunità e non ammettono obiezioni da altri appassionati.

Basti pensare alle infinite diatribe sui cavi, sulle valvole o i transistor, sull’analogico o il digitale, sulla cassa chiusa o il reflex e, ultimo ma non ultimo, sui controlli di tono: meglio averli o no?

Negli anni d’oro dell’Alta Fedeltà i pannelli anteriori degli amplificatori integrati (soprattutto i made in Japan) erano affollati da tasti e manopole. Loudness, Filtro subsonico, Muting, Luminosità display, Vu-Meters, Led e lampadine, selettore ingressi, selettore diffusori e poi Balance e Controlli di tono, equalizzatori.

Nei moderni amplificatori, al contrario, non è raro trovare solo i comandi strettamente necessari e, in particolare, tasto d’accensione, presa cuffia, selettore ingressi, manopola volume. Null’altro. Questo per ottimizzare il percorso del segnale e non rischiare di degradarlo con circuiti ritenuti superflui, nel suo tragitto dalla sorgente ai morsetti dei diffusori.

Certamente questi apparecchi badano poco ai fronzoli e mirano dritti alla assoluta salvaguardia della qualità del segnale e alla miglior riproduzione possibile dello stesso.

Nulla di sbagliato, se non fosse che, molto spesso, la qualità delle registrazioni dei nostri dischi preferiti è ben lontana dall’essere perfetta ed anzi, sovente, può essere davvero approssimativa e deficitaria. Non sempre ascoltiamo musica classica, jazz o blues, dove si ha cura estrema per la qualità del prodotto finale.

Per i generi meno “nobili” bisogna accontentarsi del lavoro (pessimo, a volte) di tecnici del suono meno attenti e scarsamente educati al buon suono. Spesso mi sono chiesto come i vari autori possano aver approvato registrazioni davvero inascoltabili e non le abbiano invece bocciate, pretendendo di tornare nello studio di registrazione e ricominciare daccapo. Chi è cresciuto a pane e rock, come il sottoscritto, sa di cosa parlo. LP e CD di assoluto livello tecnico ed artistico, rovinati da orride registrazioni.

D’altronde non si può rinunciare alla buona musica solo perché resa poco fruibile da registrazioni pacchiane. Consideriamo anche che più si sale con la qualità dell’impianto, più si notano difetti ed imperfezioni del software riprodotto. Cosa fare quindi? Rinunciare a tanta buona musica in funzione del buon ascolto?

C’è chi la pensa così e si limita ad ascoltare solo registrazioni di qualità. Non mi permetto di criticare questa filosofia, anche se credo che in questo modo si rinunci all’opportunità di gustare una miriade di progetti musicali di eccelsa qualità solo perché mal suonanti.

Questo accade, a mio parere, quando si ascolta l’impianto e non la musica. Ecco il motivo per il quale non mi sono mai ritenuto un audiofilo, ma semplicemente un musicofilo cui piace ascoltare bene, meglio possibile, la sua musica preferita.

Rispetto al mio passato hard’n heavy, oggi ascolto prevalentemente classica e jazz, ma mai rinuncerei a riascoltare vecchi dischi seppur non di altissima qualità audio; perchè è la musica che ci fa vibrare, che ci trasmette sensazioni, sentimenti, che ci fa venire i brividi, ci dà energia, ci aiuta nei momenti difficili, ci fa sognare ed è capace di trasportarci in altre galassie, in dimensioni parallele altrimenti irraggiungibili.

Tutto questo lo fa la musica. L’impianto è il mezzo che rende possibile questa magia.

Come dicevo poc’anzi, i moderni amplificatori integrati hanno comandi minimali, spesso soltanto il volume. In alcuni di essi, sempre più rari, ci sono ancora i controlli di tono, Bass e Treble, con la possibilità di disattivarli con un apposito tasto. Secondo me questa soluzione è la migliore, proprio perché dà la possibilità di scegliere tra una modalità e l’altra.

Non amo le filosofie estreme, quelle degli audiofili puristi ed intransigenti che aborrono la possibilità di correggere di qualche db in più o in meno i bassi e/o gli acuti. Fermo restando che anche io, nella stragrande maggioranza dei casi, ascolto in flat, con i controlli di tono disattivati, di certo non esito ad inserirli e ad usarli con parsimonia quando voglio ascoltare qualche vecchio disco sei Saxon, dei Manowar, dei Kiss, dei Sex Pistols e via dicendo.

Quindi, per concludere, controlli di tono? Si. Assolutamente si. Usarli solo quando necessario, ovvio. Ed usarli per piccole correzioni che possono migliorare la nostra esperienza d’ascolto di dischi altrimenti non fruibili su impianti ben suonanti.

In definitiva, ascoltare la musica. Non l’impianto.

Buona musica.